La morte nella religione cristiana

Pubblicato: 13/05/2015 16:46:47
Categorie: Mondo Funeraria

Morire, nella prospettiva cristiana, è iniziare un viaggio. È il viaggio verso l’incontro con Gesù per raggiungere la vita eterna. Lo spiega il Catechismo della Chiesa cattolica, che al numero 1020 spiega come la Chiesa, quando ha pronunciato per mezzo del sacerdote le parole di perdono dell’assoluzione di Cristo sul cristiano morente per l’ultima volta e l’ha segnato, sempre per l’ultima volta, con una unzione fortificante (l’Estrema Unzione) e gli ha dato Cristo nel viatico come nutrimento per il viaggio, a lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole: “Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. [...] Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha formato dalla polvere della terra. Quando lascerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. [...] Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno”.

Naturalmente passare da questa all’altra vita, come insegna sempre la religione cattolica, significa anche passare per un giudizio particolare. È quello che spetta al defunto, che (numero 1022) riceve fin dal momento della morte “nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione (ossia il Purgatorio, N.d.R.), o entrerà immediatamente nella beatitudine del Cielo (Paradiso), oppure si dannerà immediatamente per sempre”. Non c’è nessun “tunnel della morte” o “periodo di attesa” tra la morte del cristiano e il suo incontro con Dio: è un incontro immediato, che può preludere a tre possibilità, in attesa del Giudizio universale.

Padre Angelo Bellon O.P., docente di Teologia Morale a Genova, così risponde sulla differenza tra giudizio particolare e universale: “Si tratta di due giudizi diversi: il primo è fatto tra il singolo e il Signore, il secondo al cospetto di tutto il cielo.
Il giudizio universale non è solo un pro forma, perché potremo dire della sorte di tutti: “veri e giusti sono i tuoi giudizi” (Ap 16,7).
Inoltre nel primo giudizio non c’è il corpo. Nel secondo c’è anche il corpo, il quale riceverà la sua parte in bene o in male, a seconda della sorte del primo giudizio”.

Viaggiare verso l’Eterno, nella prospettiva cristiana, non è facile. Ognuno di noi può essere angosciato e averne paura. Su questo si è espresso Papa Francesco il 27 novembre scrso, dicendo: “Se viviamo uniti a Gesù, fedeli a Lui, saremo capaci di affrontare con speranza e serenità anche il passaggio della morte. La Chiesa infatti prega: ‘Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura’. Una bella preghiera della Chiesa questa!”.

Il Papa è molto chiaro: “Una persona tende a morire come è vissuta. Se la mia vita è stata un cammino con il Signore, un cammino di fiducia nella sua immensa misericordia, sarò preparato ad accettare il momento ultimo della mia esistenza terrena come il definitivo abbandono confidente nelle sue mani accoglienti, in attesa di contemplare faccia a faccia il suo volto. Questa è la cosa più bella che può accaderci: contemplare faccia a faccia quel volto meraviglioso del Signore, vederlo come Lui è, bello, pieno di luce, pieno di amore, pieno di tenerezza. Noi andiamo fino a questo punto: vedere il Signore”.

Per raggiungere il Signore, dice il Papa: “C’è una via sicura: prepararsi bene alla morte, stando vicino a Gesù. Questa è la sicurezza: io mi preparo alla morte stando vicino a Gesù. E come si sta vicino a Gesù? Con la preghiera, nei Sacramenti e anche nella pratica della carità. Ricordiamo che Lui è presente nei più deboli e bisognosi. Lui stesso si è identificato con loro, nella famosa parabola del giudizio finale, quando dice: ‘Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. …Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’ (Mt 25,35-36.40). Pertanto, una via sicura è recuperare il senso della carità cristiana e della condivisione fraterna, prenderci cura delle piaghe corporali e spirituali del nostro prossimo”. In altre parole: “La solidarietà nel compatire il dolore e infondere speranza è premessa e condizione per ricevere in eredità quel Regno preparato per noi. Chi pratica la misericordia non teme la morte. Pensate bene a questo: chi pratica la misericordia non teme la morte! Siete d’accordo? Lo diciamo insieme per non dimenticarlo? Chi pratica la misericordia non teme la morte. E perché non teme la morte? Perché la guarda in faccia nelle ferite dei fratelli, e la supera con l’amore di Gesù Cristo”.

La promessa del Papa è chiara: “Se apriremo la porta della nostra vita e del nostro cuore ai fratelli più piccoli, allora anche la nostra morte diventerà una porta che ci introdurrà al cielo, alla patria beata, verso cui siamo diretti, anelando di dimorare per sempre con il nostro Padre, Dio, con Gesù, con la Madonna e con i santi”.

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